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martedì 19 marzo 2024
 

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SUFISMO E DANZA

"Un uomo percorre il mondo intero in cerca di ciò che gli serve e torna a casa per trovarlo"
George Moore


Il sufismo è la corrente mistica islamica per antonomasia.
Si propone di recuperare lo spirito originario dell'insegnamento del Profeta Mohammed, occultato o tradito dalle frange istituzionali e burocratiche dell'Islam.
E' difficile stabilire quali siano le categorie comuni e centrali dei vari gruppi sufi.
Tutti comunque deplorano l'esteriorità, l'ossequio puramente formale ai dogmi religiosi, e si preoccupano di attingere a un'altra dimensione, specificamente interiore.
Cercano dunque di equilibrare la sfera della legge esteriore, shari'ah, e quella della realtà intima, haqiqah, nella convinzione che il mero possesso dell'una, prescindendo dall'altra, sia sintomo di incompletezza.
I sufi sono musulmani a tutti gli effetti, ma un po' speciali.
Sono consapevoli del fatto che i dogmi celano un significato profondo, che oltrepassa le apparenze e va attentamente decifrato: l'ingiunzione musulmana alla jihad, per esempio, viene raccolta come una esortazione a sedare i conflitti interiori, che dilaniano l'interiorità, impedendo all'individuo di accedere al Divino.
Il loro assunto principale è lo stesso dell'Islam "ortodosso": esiste un solo Dio, Allah.
Tuttavia i sufi accentuano la presenza di Dio in ogni ambito della realtà, esaltando il carattere unitario dell'esistenza.
Da ciò il tentativo dei sufi di "unirsi" al Divino, attraverso le tecniche più disparate, la musica, la danza…
Dio permea ogni minimo frammento dell'universo, nutrendolo del suo amore infinito.
Lo stesso sentimento, di origine soprannaturale, è richiesto all'adepto nei confronti di tutti gli esseri: lui stesso è parte di Dio.

I canti del Derviscio

Ritrovare la propria origine nel cammino dei mistici verso l'occhio di Dio significa chiudere gli occhi e la bocca, esercitando una "attività occulta" dentro noi stessi: ognuno di noi deve tornare nella propria vita ad ascoltare il silenzio magico del cuore che porta dentro.
Questo significa "mìyo" in greco, da cui deriva la parola misticismo.
La parola "sufi" invece significa lana, e indica il mantello dei mistici itineranti del mondo islamico. Gli yogi indiani, i "purificati", seguono lo stesso cammino di Francesco d'Assisi, Bonaventura da Bagnoregio o del Maestro Eckart...Recuperare lo spirito originario dell'insegnamento di Cristo e di Maometto, del Buddha e di Siddharta. La ricerca dell'Avatar deve partire dal mondo interiore, non importa dove siamo nati o dove moriremo.
Nirvana, fanah o beatitudine altro non sono che il raggiungimento dell' identità essenziale tra anima e Dio, attraverso le innumerevoli strade degli asceti del mondo, i santi del popolo temuti dall'ortodossia di tutti i tempi e di ogni luogo.

"Oggi ancora a lei, che risplende inghirlandata di magnolia d'oro
volto di loto in fiore, tenue la linea della pelurie sul ventre,
levata dal sonno, il corpo ardente turbato dal desiderio,
come a sapienza perduta per follia ripenso".

Hazret-I Mevlana,
ovvero Muhammed Celaleddin Rumi, padre dei Dervisci Roteanti

Rumi nasce a Balkh, nell'attuale Afghanistan nord occidentale, il 30 settembre 1207, nel cuore dell'allora impero turco del Khorassan, come molti altri grandi poeti persiani.
Sua madre, Rumine Atun, è di nobili origini, suo padre, Muhammed Bahaeddin, conosciuto come il Sultano dei Sapienti, discende da una stirpe di studiosi ed era a sua volta sufi, membro della scuola Najmuddin Kobra, dove studiò le visioni diottriche colorate, prodotte negli stati mistici.
Durante il soggiorno di Rumi a Karaman, nel 1225, suo padre sceglie per lui la sposa Gevher Banu, di Samarcanda: straordinariamente bella e pura.
Nel 1228 la famiglia di Rumi si trasferisce a Konya, capitale dei Selgiuchidi.
A Jalaloddin vengono attribuiti interminabili incontri con 'Attar e Ibn 'Arabi, dal quale sarebbe stato iniziato.
Il primo maestro di Rumi fu però un discepolo del padre, Borhanuddin Mohaqqiq.
Mevlana viaggiò a lungo in Siria, fino a quando un giorno, ritornato a Konya, incontrò la luce della sua vita terrena nel Maestro Shams-i Perende, " Sole Volante", il cui vero nome era Semseddin Muhammed di Tabriz.
Era il 29 novembre 1244, all'Hotel di Sekerciler, Mevlana aveva 38 anni, Shams 60.
Quasi quattro anni dopo Shams scomparve.

"Il titolo d'eminenza per l'acquisizione del sapere
Non è che assurdo desiderio e null'altro
Ciò che più conta al mondo
È l'amore
Il sapere è soltanto un racconto"


Ero verde, maturai, mi bruciai. Questo dice Mevlana del suo amore per Shams. Un cammino obbligato per ogni uomo che aspiri al raggiungimento di sé.

Cosa è "Sema"

Abbandono totale all'Amore per ogni manifestazione di Dio, che è in noi e fuori di noi.
Sema è innamorarsi della vita, è l'estasi del dervisho che aumenta la sua nostalgia di Dio.
Ciò che conta nel mondo per Mevlana nella ricerca dell'Amore divino sono la bella voce e il suono del flauto (nay), la danza e il rebab, l'Uomo e la disponibilità verso gli altri, tutti gli altri.

Mevlana ha lasciato splendide opere in prosa e in poesia.
Le più immediate, quelle in poesia, sono le seguenti: "Divan-I-Kebir, Mesnevi, Rubaiyat, Fihi Ma Fihi (Il contenente ciò che contiene), Mecalis-I-Seb'a, Mektuba, Mathnawi-e-Mawlawi (Distici del significato interiore).
Il movimento dei Dervisci roteanti, cioè l'Ordine dei Mawlawi, fu promosso dal figlio di Rumi, Soltan Walad, morto intorno al 1312.
Oggi l'Ordine è presente in circa trenta paesi, partito dalla Turchia è giunto nei secoli fino al Maghreb, al Sudan, all'Indo e al Caucaso.

"Oggi ancora lei, occhio allungato di ninfea, se la rivedo
sfinita dal peso del seno rigoglioso,
stringendola tra le mie braccia bevo la sua bocca
come folle, come ape il loto, insaziabile"


"Domande al maestro sufi" da: "Il canto del derviscio" a cura di Leonardo Arena

L'imperatore di Rum aveva molto sentito parlare del Califfo Omar, la cui reputazione di maestro sufi era diffusa ovunque.
Così mando da lui un ambasciatore per apprendere i dettami del sufismo (…)
Dopo un lungo viaggio l'ambasciatore giunse a Medina, dove Omar aveva stabilito la sede del suo califfato.
Tuttavia, contrariamente alle aspettative, non fu facile, per il messo dell'imperatore, localizzare la residenza del califfo.
"Sto cercando Omar, califfo e maestro sufi, qualcuno di voi sa dirmi dove trovarlo?"
L'ambasciatore pose questa domanda a chiunque incontrasse per le vie di Medina, ma senza risultati.
"Non possiamo indicartelo, fratello". "E perché mai? La casa di Omar è forse segreta?"
"Oh tutt'altro. Il fatto è che il califfo non abita in una casa, né in un palazzo"
"E dove si trova allora?"
"Lo capirai da solo, quando sarà il momento".
Davanti a risposte così enigmatiche, l'ambasciatore disperava di assolvere il suo compito.
Aveva cercato Omar in ogni angolo della città, ma gli sforzi erano risultati vani.
La sua ricerca era sincera: egli aveva tentato tutto, per scoprire soltanto che il califfo…non aveva una casa!
Forse c'era un significato nascosto da scoprire, ma l'ambasciatore non riusciva a penetrarlo.
"Quando sarà il momento, troverai il califfo!" Queste parole riuscivano a scuotere il messo dal torpore.
Grazie a esse capiva che la sua ricerca aveva uno scopo, e che era possibile rintracciare il califfo.
Ormai era esausto, e si assopì, per le vie di Medina, come un mendicante.
Infatti, tanto era stanco, l'ambasciatore non aveva la forza di cercare un alloggio.
In sogno, gli apparve una figura di saggio: d'imponente statura, una fitta barba nera, poteva avere una cinquantina d'anni.
"Omar!" gridò nel sonno il messo dell'imperatore. "Sono io".
Forse la voce che rispondeva non faceva parte del sogno.
"Ti ho trovato finalmente! Ma come ho fatto?"
"Mi hai trovato quando hai smesso di cercarmi dove non ero.
Vedi, fratello, il tuo cuore non era ancora puro, all'inizio dell'indagine. E mi cercavi dove non avresti mai potuto trovarmi. Io non abito nei palazzi.
Solo a chi è completamente puro posso apparire.
E tu, come vedo ora, sei perfettamente sincero." (…)
Omar sapeva perché l'ambasciatore era lì, e s'apprestava a esaudirne le richieste, chiarendo due questioni che l'imperatore non riusciva a risolvere.
"La prima delle domande che devo porti è questa. Anche io vi ho riflettuto a lungo, ma come il mio sovrano, non sono riuscito a trovare una risposta: come fa l'anima ad abbandonare il cielo, e a scendere sulla terra?"
Omar avvertì la profondità della domanda (…)
"Tu mi chiedi, in realtà, come mai un uccello così nobile, cioè l'anima, venga rinchiuso in una gabbia così grossolana, cioé il corpo. Questo fatto avviene per volontà dell'unico Dio, Allah.
E' lui che, in virtù della sola parola, consente all'anima di lasciare le praterie celesti per calare sulla terra.
E' una parola potente, una forza senza eguali, quella che si sprigiona da Dio.
Interrogarsi ancora, in proposito, è impossibile.
Non sappiamo esattamente cosa dica Dio all'anima, per convincerla a scendere sulla terra. Del resto, non sappiamo nemmeno cosa Egli sussurri alla rosa, per farla sbocciare.
Né sappiamo cosa dica al sole, per farlo spendere come la sorgente luminosa senza uguali.
E ignoriamo cosa dica Allah alla terra, provocandone la stabilità e la fierezza.
O alee nuvole, che, come onde, sprigionano dal seno pura acqua piovana.
E' la volontà di Dio che determina tutto questo. A ogni cosa Egli parla diversamente, con parole ed espressioni particolari che riescono a scuoterne l'essenza."
L'ambasciatore prestava attenzione a ogni parola del califfo e il discorso gli appariva straordinariamente chiaro.
La prima questione era risolta, ora si poteva passare alla seconda.
"Dimmi maestro. Ora ho capito che è la parola, cioè la volontà di Dio, a sospingere i cieli nella loro orbita, provocando ogni inavvertibile fruscio del fogliame.
Ma una cosa mi è ancora oscura: lo scopo di questo processo, per cui l'anima abbandona la quiete celeste e resta avvinghiata al sangue e alla carne."
Anche in questo l'ambasciatore interrogava Omar con sincerità. Dopotutto, le due domande erano strettamente correlate e formavano un solo, bruciante interrogativo.
"Ciò che tu chiami carne e sangue, il corpo e i suoi vincoli, costituisce sicuramente una realtà inferiore rispetto a quella dell'anima.
Ma a partire da ciò che è infimo si prospetta la liberazione, altrimenti impossibile da attingere.
Guarda fratello il guscio dell'ostrica: sembra insignificante e grezzo, ma nel suo interno si celano perle preziose e inestimabili.
Lo stesso avviene per i desideri: a patto di non esserne soggiogati, essi introducono alla liberazione.
Ci riportano alla nostra unica origine, se solo sappiamo coltivare la loro vera essenza"
Secondo la tradizione, l'ambasciatore riuscì a comprendere le due risposte del califfo e a illustrarne il senso al suo imperatore: che si dedicò completamente al sufismo e ne divenne uno dei più fervidi esponenti.

Ritrovare la propria origine nel cammino dei mistici verso l'occhio di Dio significa chiudere gli occhi e la bocca, esercitando una "attività occulta" dentro noi stessi: ognuno di noi deve tornare nella propria vita ad ascoltare il silenzio magico del cuore che porta dentro.
Questo significa "mìyo" in greco, da cui deriva la parola misticismo.
La parola "sufi" invece significa lana, e indica il mantello dei mistici itineranti del mondo islamico. Gli yogi indiani, i "purificati", seguono lo stesso cammino di Francesco d'Assisi, Bonaventura da Bagnoregio o del Maestro Eckart...Recuperare lo spirito originario dell'insegnamento di Cristo e di Maometto, del Buddha e di Siddharta. La ricerca dell'Avatar deve partire dal mondo interiore, non importa dove siamo nati o dove moriremo.
Nirvana, fanah o beatitudine altro non sono che il raggiungimento dell' identità essenziale tra anima e Dio, attraverso le innumerevoli strade degli asceti del mondo, i santi del popolo temuti dall'ortodossia di tutti i tempi e di ogni luogo.

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