SUFISMO E DANZA
"Un uomo percorre il mondo
intero in cerca di ciò che gli serve e
torna a casa per trovarlo"
George Moore
Il sufismo è la corrente mistica islamica
per antonomasia.
Si propone di recuperare lo spirito originario
dell'insegnamento del Profeta Mohammed, occultato
o tradito dalle frange istituzionali e burocratiche
dell'Islam.
E' difficile stabilire quali siano le categorie
comuni e centrali dei vari gruppi sufi.
Tutti comunque deplorano l'esteriorità,
l'ossequio puramente formale ai dogmi religiosi,
e si preoccupano di attingere a un'altra dimensione,
specificamente interiore.
Cercano dunque di equilibrare la sfera della legge
esteriore, shari'ah, e quella della realtà
intima, haqiqah, nella convinzione che il mero
possesso dell'una, prescindendo dall'altra, sia
sintomo di incompletezza.
I sufi sono musulmani a tutti gli effetti, ma
un po' speciali.
Sono consapevoli del fatto che i dogmi celano un
significato profondo, che oltrepassa le apparenze
e va attentamente decifrato: l'ingiunzione musulmana
alla jihad, per esempio, viene raccolta come una
esortazione a sedare i conflitti interiori, che
dilaniano l'interiorità, impedendo all'individuo
di accedere al Divino.
Il loro assunto principale è lo stesso
dell'Islam "ortodosso": esiste un solo
Dio, Allah.
Tuttavia i sufi accentuano la presenza di Dio
in ogni ambito della realtà, esaltando
il carattere unitario dell'esistenza.
Da ciò il tentativo dei sufi di "unirsi"
al Divino, attraverso le tecniche più
disparate, la musica, la danza
Dio permea ogni minimo frammento dell'universo,
nutrendolo del suo amore infinito.
Lo stesso sentimento, di origine soprannaturale,
è richiesto all'adepto nei confronti di
tutti gli esseri: lui stesso è parte di
Dio.
I canti del Derviscio
Ritrovare la propria origine nel
cammino dei mistici verso l'occhio di Dio significa
chiudere gli occhi e la bocca, esercitando una
"attività occulta" dentro noi
stessi: ognuno di noi deve tornare nella propria
vita ad ascoltare il silenzio magico del cuore
che porta dentro.
Questo significa "mìyo" in greco,
da cui deriva la parola misticismo.
La parola "sufi" invece significa lana,
e indica il mantello dei mistici itineranti del
mondo islamico. Gli yogi indiani, i "purificati",
seguono lo stesso cammino di Francesco d'Assisi,
Bonaventura da Bagnoregio o del Maestro Eckart...Recuperare
lo spirito originario dell'insegnamento di Cristo
e di Maometto, del Buddha e di Siddharta. La ricerca
dell'Avatar deve partire dal mondo interiore,
non importa dove siamo nati o dove moriremo.
Nirvana, fanah o beatitudine altro non sono che
il raggiungimento dell' identità essenziale
tra anima e Dio, attraverso le innumerevoli strade
degli asceti del mondo, i santi del popolo temuti
dall'ortodossia di tutti i tempi e di ogni luogo.
"Oggi ancora a lei, che risplende inghirlandata
di magnolia d'oro
volto di loto in fiore, tenue la linea della pelurie
sul ventre,
levata dal sonno, il corpo ardente turbato dal
desiderio,
come a sapienza perduta per follia ripenso".
Hazret-I Mevlana,
ovvero Muhammed Celaleddin Rumi, padre dei Dervisci
Roteanti
Rumi nasce a Balkh, nell'attuale Afghanistan nord
occidentale, il 30 settembre 1207, nel cuore dell'allora
impero turco del Khorassan, come molti altri grandi
poeti persiani.
Sua madre, Rumine Atun, è di nobili origini,
suo padre, Muhammed Bahaeddin, conosciuto come
il Sultano dei Sapienti, discende da una stirpe
di studiosi ed era a sua volta sufi, membro della
scuola Najmuddin Kobra, dove studiò le
visioni diottriche colorate, prodotte negli stati
mistici.
Durante il soggiorno di Rumi a Karaman, nel 1225,
suo padre sceglie per lui la sposa Gevher Banu,
di Samarcanda: straordinariamente bella e pura.
Nel 1228 la famiglia di Rumi si trasferisce a
Konya, capitale dei Selgiuchidi.
A Jalaloddin vengono attribuiti interminabili
incontri con 'Attar e Ibn 'Arabi, dal quale sarebbe
stato iniziato.
Il primo maestro di Rumi fu però un discepolo
del padre, Borhanuddin Mohaqqiq.
Mevlana viaggiò a lungo in Siria, fino
a quando un giorno, ritornato a Konya, incontrò
la luce della sua vita terrena nel Maestro Shams-i
Perende, " Sole Volante", il cui vero
nome era Semseddin Muhammed di Tabriz.
Era il 29 novembre 1244, all'Hotel di Sekerciler,
Mevlana aveva 38 anni, Shams 60.
Quasi quattro anni dopo Shams scomparve.
"Il titolo d'eminenza per l'acquisizione
del sapere
Non è che assurdo desiderio e null'altro
Ciò che più conta al mondo
È l'amore
Il sapere è soltanto un racconto"
Ero verde, maturai, mi bruciai. Questo dice Mevlana
del suo amore per Shams. Un cammino obbligato
per ogni uomo che aspiri al raggiungimento di
sé.
Cosa è "Sema"
Abbandono totale all'Amore per
ogni manifestazione di Dio, che è in noi
e fuori di noi.
Sema è innamorarsi della vita, è
l'estasi del dervisho che aumenta la sua nostalgia
di Dio.
Ciò che conta nel mondo per Mevlana nella
ricerca dell'Amore divino sono la bella voce e
il suono del flauto (nay), la danza e il rebab,
l'Uomo e la disponibilità verso gli altri,
tutti gli altri.
Mevlana ha lasciato splendide opere in prosa e
in poesia.
Le più immediate, quelle in poesia, sono
le seguenti: "Divan-I-Kebir, Mesnevi,
Rubaiyat, Fihi Ma Fihi (Il contenente ciò
che contiene), Mecalis-I-Seb'a, Mektuba, Mathnawi-e-Mawlawi
(Distici del significato interiore).
Il movimento dei Dervisci roteanti, cioè
l'Ordine dei Mawlawi, fu promosso dal figlio di
Rumi, Soltan Walad, morto intorno al 1312.
Oggi l'Ordine è presente in circa trenta
paesi, partito dalla Turchia è giunto nei
secoli fino al Maghreb, al Sudan, all'Indo e al
Caucaso.
"Oggi ancora lei, occhio allungato di
ninfea, se la rivedo
sfinita dal peso del seno rigoglioso,
stringendola tra le mie braccia bevo la sua bocca
come folle, come ape il loto, insaziabile"
"Domande al maestro sufi" da: "Il
canto del derviscio" a cura di Leonardo Arena
L'imperatore di Rum aveva molto sentito parlare
del Califfo Omar, la cui reputazione di maestro
sufi era diffusa ovunque.
Così mando da lui un ambasciatore per apprendere
i dettami del sufismo (
)
Dopo un lungo viaggio l'ambasciatore giunse a
Medina, dove Omar aveva stabilito la sede del
suo califfato.
Tuttavia, contrariamente alle aspettative, non
fu facile, per il messo dell'imperatore, localizzare
la residenza del califfo.
"Sto cercando Omar, califfo e maestro sufi,
qualcuno di voi sa dirmi dove trovarlo?"
L'ambasciatore pose questa domanda a chiunque
incontrasse per le vie di Medina, ma senza risultati.
"Non possiamo indicartelo, fratello".
"E perché mai? La casa di Omar è
forse segreta?"
"Oh tutt'altro. Il fatto è che il
califfo non abita in una casa, né in un
palazzo"
"E dove si trova allora?"
"Lo capirai da solo, quando sarà il
momento".
Davanti a risposte così enigmatiche, l'ambasciatore
disperava di assolvere il suo compito.
Aveva cercato Omar in ogni angolo della città,
ma gli sforzi erano risultati vani.
La sua ricerca era sincera: egli aveva tentato
tutto, per scoprire soltanto che il califfo
non
aveva una casa!
Forse c'era un significato nascosto da scoprire,
ma l'ambasciatore non riusciva a penetrarlo.
"Quando sarà il momento, troverai
il califfo!" Queste parole riuscivano a scuotere
il messo dal torpore.
Grazie a esse capiva che la sua ricerca aveva
uno scopo, e che era possibile rintracciare il
califfo.
Ormai era esausto, e si assopì, per le
vie di Medina, come un mendicante.
Infatti, tanto era stanco, l'ambasciatore non
aveva la forza di cercare un alloggio.
In sogno, gli apparve una figura di saggio: d'imponente
statura, una fitta barba nera, poteva avere una
cinquantina d'anni.
"Omar!" gridò nel sonno il messo
dell'imperatore. "Sono io".
Forse la voce che rispondeva non faceva parte
del sogno.
"Ti ho trovato finalmente! Ma come ho fatto?"
"Mi hai trovato quando hai smesso di cercarmi
dove non ero.
Vedi, fratello, il tuo cuore non era ancora puro,
all'inizio dell'indagine. E mi cercavi dove non
avresti mai potuto trovarmi. Io non abito nei palazzi.
Solo a chi è completamente puro posso apparire.
E tu, come vedo ora, sei perfettamente sincero."
(
)
Omar sapeva perché l'ambasciatore era lì,
e s'apprestava a esaudirne le richieste, chiarendo
due questioni che l'imperatore non riusciva a
risolvere.
"La prima delle domande che devo porti è
questa. Anche io vi ho riflettuto a lungo, ma
come il mio sovrano, non sono riuscito a trovare
una risposta: come fa l'anima ad abbandonare il
cielo, e a scendere sulla terra?"
Omar avvertì la profondità della
domanda (
)
"Tu mi chiedi, in realtà, come mai
un uccello così nobile, cioè l'anima,
venga rinchiuso in una gabbia così grossolana,
cioé il corpo. Questo fatto avviene per
volontà dell'unico Dio, Allah.
E' lui che, in virtù della sola parola,
consente all'anima di lasciare le praterie celesti
per calare sulla terra.
E' una parola potente, una forza senza eguali,
quella che si sprigiona da Dio.
Interrogarsi ancora, in proposito, è impossibile.
Non sappiamo esattamente cosa dica Dio all'anima,
per convincerla a scendere sulla terra. Del resto,
non sappiamo nemmeno cosa Egli sussurri alla rosa,
per farla sbocciare.
Né sappiamo cosa dica al sole, per farlo
spendere come la sorgente luminosa senza uguali.
E ignoriamo cosa dica Allah alla terra, provocandone
la stabilità e la fierezza.
O alee nuvole, che, come onde, sprigionano dal
seno pura acqua piovana.
E' la volontà di Dio che determina tutto
questo. A ogni cosa Egli parla diversamente, con
parole ed espressioni particolari che riescono
a scuoterne l'essenza."
L'ambasciatore prestava attenzione a ogni parola
del califfo e il discorso gli appariva straordinariamente
chiaro.
La prima questione era risolta, ora si poteva
passare alla seconda.
"Dimmi maestro. Ora ho capito che è
la parola, cioè la volontà di Dio,
a sospingere i cieli nella loro orbita, provocando
ogni inavvertibile fruscio del fogliame.
Ma una cosa mi è ancora oscura: lo scopo
di questo processo, per cui l'anima abbandona
la quiete celeste e resta avvinghiata al sangue
e alla carne."
Anche in questo l'ambasciatore interrogava Omar
con sincerità. Dopotutto, le due domande
erano strettamente correlate e formavano un solo,
bruciante interrogativo.
"Ciò che tu chiami carne e sangue,
il corpo e i suoi vincoli, costituisce sicuramente
una realtà inferiore rispetto a quella
dell'anima.
Ma a partire da ciò che è infimo
si prospetta la liberazione, altrimenti impossibile
da attingere.
Guarda fratello il guscio dell'ostrica: sembra
insignificante e grezzo, ma nel suo interno si
celano perle preziose e inestimabili.
Lo stesso avviene per i desideri: a patto di non
esserne soggiogati, essi introducono alla liberazione.
Ci riportano alla nostra unica origine, se solo
sappiamo coltivare la loro vera essenza"
Secondo la tradizione, l'ambasciatore riuscì
a comprendere le due risposte del califfo e a
illustrarne il senso al suo imperatore: che si
dedicò completamente al sufismo e ne divenne
uno dei più fervidi esponenti.
Ritrovare la propria origine nel cammino dei mistici
verso l'occhio di Dio significa chiudere gli occhi
e la bocca, esercitando una "attività
occulta" dentro noi stessi: ognuno di noi
deve tornare nella propria vita ad ascoltare il
silenzio magico del cuore che porta dentro.
Questo significa "mìyo" in greco,
da cui deriva la parola misticismo.
La parola "sufi" invece significa lana,
e indica il mantello dei mistici itineranti del
mondo islamico. Gli yogi indiani, i "purificati",
seguono lo stesso cammino di Francesco d'Assisi,
Bonaventura da Bagnoregio o del Maestro Eckart...Recuperare
lo spirito originario dell'insegnamento di Cristo
e di Maometto, del Buddha e di Siddharta. La ricerca
dell'Avatar deve partire dal mondo interiore,
non importa dove siamo nati o dove moriremo.
Nirvana, fanah o beatitudine altro non sono che
il raggiungimento dell' identità essenziale
tra anima e Dio, attraverso le innumerevoli strade
degli asceti del mondo, i santi del popolo temuti
dall'ortodossia di tutti i tempi e di ogni luogo.
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